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Visual Effects e Making of
Non sono tutti effetti speciali

  • Mattia Rinaldi
  • Gennaio 26, 2021
  • 13 minute read
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“Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio.”

Federico Fellini

Lo spettatore postmoderno, a differenza di quello del cinema delle origini, cessa di confidare ciecamente nella veridicità delle immagini perché non sa più cosa sia stato effettivamente messo davanti all’obbiettivo della macchina da presa e cosa sia stato realizzato interamente con il computer. Si ritrova spesso spaesato negli scenari onirici o alienanti e si sente stupefatto o addirittura angosciato, preso da un effetto chiamato perturbante.1

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La creazione e la manipolazione dell’immagine digitale comportano l’instaurarsi di un nuovo rapporto con lo spettatore. Innanzitutto è utile partire da una distinzione tra effetti speciali (Special Effects) ed effetti visivi o visuali (Visual Effects). Nel primo caso si tratta di trucchi e operazioni compiute sul set, davanti alla macchina da presa, ovvero in sede di profilmico, quali ad esempio il make-up, l’utilizzo di creature meccaniche come gli animatronics o animatroni, effetti di pioggia o pirotecnici ed esplosioni, mentre nel secondo caso si tratta di processi, sia che prescindono dal profilmico sia che ne sia siano indipendenti, con cui un’immagine viene creata o modificata in fase di post-produzione (post-production).

Indice dei contenuti
  1. Gli effetti visivi, la computer grafica e i software
  2. Il 3D, la percezione della tridimensionalità
  3. Gravity, capolavoro degli effetti speciali e visivi
  4. Conclusioni
  5. Fonti e Approfondimenti

Gli effetti visivi, la computer grafica e i software

Gli effetti speciali e visivi sono una delle caratteristiche peculiari della settima arte fin dalle sperimentazioni compiute dal regista francese Georges Méliès, inventore dei primi rudimentali effetti visivi ottenuti attraverso semplici tecniche di montaggio tra cui la sparizione di un oggetto o di una persona unendo due inquadrature dello stesso ambiente, una con il soggetto/oggetto e l’altra senza oppure lo sdoppiamento di una persona mediante la sovrapposizione di due o più pellicole. Questi effetti costituivano una preziosa attrattiva per i primi cinematografi, tra cui i nickelodeon americani, siti presso i luna park, e furono decisivi per la diffusione del cinema nei primi decenni del novecento.

Gli effetti sono andati via via raffinandosi e perfezionandosi contemporaneamente all’introduzione di nuove tecniche di ripresa. Alcune tecniche prevedevano l’uso di miniature, riproduzioni in scala ridotta di un ambiente o di un oggetto di grandi dimensioni. Negli anni settanta, si iniziò ad utilizzare gli animatroni (animatronic): articolati sistemi meccanici ed elettronici controllati a distanza ed in grado di compiere dei semplici movimenti. Erano rivestiti di materiali come stoffa, lattice, vetroresina, ecc. Furono utilizzati per gli effetti speciali di King Kong (1976) di Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack, Alien (1979) di Ridley Scott, E.T. (1982) di Steven Spielberg; divennero sempre più sofisticati, integrando le tecniche della robotica, fino ad essere utilizzati in film come Terminator (1984) di James Cameron e Robocop (1987) di Paul Verhoeven.

Alla fine degli anni ottanta l’avvento della computer grafica rivoluziona il mondo degli effetti: nel 1993, con il film Jurassic Park di Steven Spielberg, l’Industrial Light & Magic2 di George Lucas stupisce il mondo, mostrando dei dinosauri molto realistici alle prese con gli attori in carne ed ossa. Jurassic Park rappresenta il trionfo della simulazione al computer in cui vi è la completa integrazione tra riprese fotografiche e dinosauri creati al computer. Le immagini infografiche sono state abbassate di qualità al fine di adeguarle alle imperfezioni della pellicola. Già nel 1989, il pubblico aveva potuto assistere alle meraviglie dell’animazione digitale con The Abyss di Cameron, in cui vi sono personaggi credibili realizzati tramite il linguaggio binario e con Terminator 2 (1991), dove il morphing permette ad un oggetto animato di “sciogliersi” e di assumere altre forme e sembianze.

Le possibilità di creazione e manipolazione delle immagini sono molteplici. I software realizzati per la creazione di immagini tridimensionali offrono all’operatore un modello di spazio prospettico che può essere sia definito che infinito. Questo spazio può essere visitato da una camera, una sorta di occhio virtuale e l’oggetto costruito all’interno può essere visualizzato da infiniti punti di vista. L’immagine sintetica viene costruita in tre passaggi: modeling (modellizzazione), mapping (mappatura) e rendering (resa). Il primo passo è la creazione di un disegno, di un modello. Nella prima di queste fasi viene costruita la struttura attraverso quello che viene definito wire-frame ovvero una trama o reticolo. Una sorta di “filo di ferro” che viene modellato per dare la forma dell’oggetto. Si può partire da poligoni semplici già presenti di base nel software o da zero. Attraverso differenti metodologie di deformazione e creazione di superfici, è possibile creare qualsiasi forma, da semplici forme geometriche quali cubi, piramidi sfere ecc. a forme più complesse come le superfici organiche non lineari come il volto umano.  Segue la fase di mapping che si articola in differenti passaggi. Questa fase conferisce i dettagli e il colore al modello rendendolo più realistico. Nella fase di shadow mapping3 vengono create le ombre sulla scena senza le quali gli oggetti sembrerebbero fluttuare nel vuoto. L’operatore calcola tra tutti i pixel presenti sulla scena quali oscurare. Un pixel può anche non essere oscurato del tutto e ricevere poca luce. Lo spazio si comporta anche da ambiente, può essere illuminato da infiniti punti luce, riflessi, può presentare nebbia. La fase di texture mapping consiste nel creare una texture, ovvero un’immagine bidimensionale, che viene riprodotta sulla superficie del modello 3D creato in fase di mapping. La fase di rendering costituisce la fase finale fondamentale, senza la quale le animazioni e le immagini tridimensionali non esisterebbero se non all’interno dei software che li hanno sviluppati. In quest’ultima fase le immagini create vengono assemblate ed elaborate. Chi esegue il rendering di grandi quantità di immagini, come nel caso di produzioni cinematografiche e d’animazione, si affida ad una rete di computer connessi tra loro, detta render farm, un insieme di calcolatori collegati tra loro, chiamati comunemente “nodi”.

La tendenza alla manipolazione dell’immagine elettronica e alla ricerca sull’effetto sperimentale, di natura astratta che ha caratterizzato le varie diramazioni espressive del mezzo elettronico nella fase pioneristica, ha subito oggi un generale cambiamento. Si assiste oggi alla creazione di un nuovo linguaggio. Per quanto riguarda la manipolabilità delle immagini vi sono numerose tecniche, tra queste, come ricorda Laurent Jullier, teorico del cinema francese, ci sono la sintesi replicativa per cui da un’immagine creata al computer si arriva al referente dell’oggetto creato; uno dei primi effetti digitali utilizzati dall’industria dell’intrattenimento; il morphing (metamorfosi), tecnica che permette di fondere oggetti tridimensionali o fotogrammi; il fotoritocco, tecnica che permette la modifica di una fotografia allo scopo di migliorarne l’estetica, modificare il soggetto, eliminare elementi; la simulazione del movimento della macchina da presa.

Una delle tecniche più utilizzate nell’ambito dei Visual Effects per riprodurre movimenti realistici a personaggi digitali è la Motion capture che consiste nella registrazione e il campionamento di movimenti di persone, animali e oggetti inanimati. Questa tecnica adotta un sistema fotogrammetrico, ovvero un sistema di più telecamere che sono anche emettitrici di luce e di marcatori. L’impiego della Motion Capture può avvenire sia in tempo reale, quando il performer gestisce i movimenti del personaggio digitale, sia in differita, quando i movimenti del performer vengono prima catturati e poi rielaborati dall’animatore in post-produzione e applicati ad un personaggio digitale. La peculiarità della Motion capture risiede nella sua capacità di poter “catturare” la performance di un attore e riprodurla fedelmente su di un personaggio anche molto diverso dall’attore stesso. Importanti sono i personaggi digitali creati attraverso la Motion Capture, sia mescolati con attori come ad esempio nelle saghe di Harry Potter e Il Signore degli anelli avviate nel 2001, sia nel cinema d’animazione completamente digitale.

La Motion capture viene sfruttata anche nell’ambito di videogiochi4 per la prima volta nel 1995, anno in cui viene messo in commercio Fx Fighter dalla Argonut Games, il primo videogioco di combattimento in ambiente 3D con personaggi mossi con la tecnologia della Motion Capture. Il successo dei videogame ha incoraggiato numerose case di produzione ad utilizzare questa tecnica che conferisce maggiore realismo ai movimenti dei personaggi dei vari videogiochi fino a diventare sin dai primi anni del 2000 il metodo più comune per creare le animazioni e i movimenti dei personaggi dei videogiochi di qualsiasi genere.5

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Molto simile alla Motion capture è la Performance capture, tecnica che consente di catturare le espressioni facciali di un attore per applicarle ad un personaggio virtuale. I marker adoperati sono molti più piccoli e collocati principalmente sul volto degli attori. E’ stata utilizzata per la prima volta in Matrix sotto il nome di Universal capture, mentre Polar Express (2004) diretto da Robert Zemeckis è il primo film ad essere girato interamente con questo sistema.

Approfondimento: Il “curioso caso” di David Fincher

Il Curioso Caso di Benjamin Button (The Curious Case of Benjamin Button) del 2008 di David Fincher rappresenta non solo un esemplare laboratorio degli effetti visivi in cui si giunge ad una completa maturazione, gestione e pieno controllo del digitale ma anche il vertice dello sviluppo della Performance capture.

Per Il Curioso Caso di Benjamin Button, Fincher e il direttore della fotografia, Claudio Miranda, hanno utilizzato la Viper, affiancata dalla Sony CineAlta f23 e dalla pellicola 35mm. Il digitale è sfruttato per riprendere con luce naturale e per la realizzazione degli effetti visivi mentre la pellicola viene impiegata per le scene a rallenty e nella parte in cui il protagonista compie una sorta di giro del mondo.
Il film di Fincher è il primo ad utilizzare le innovative procedure di face off/face on per innestare sul corpo di una controfigura un volto digitale le cui espressioni vengono catturate in una speciale fase detta Facial motion capture a cui l’attore Brad Pitt si è dovuto sottoporre.

A recitare sul set nel ruolo di Benjamin Button ultrasessantenne sono stati tre diversi attori, scelti per le loro caratteristiche fisiche. La faccia sintetica, montata sulla controfigura, viene ottenuta sulla base di calchi digitali del volto ottenuti mediante laser 3D, ai quali si sono poi associate le espressioni facciali prelevate da Pitt mediante Mova Contour Reality, un sistema che utilizza una particolare crema fosforescente non visibile sotto normali luci. Per sviluppare modelli di un Brad Pitt ultra sessantenne, sono stati dapprima realizzati calchi al volto dell’attore, poi create sculture d’argilla e maschere di silicone, e infine su queste hanno lavorato i truccatori. Dopo questo processo di digital make up in cui i modelli creati vengono trasposti su computer con uno scanner 3D e animati poi con la CGI (computer grafica), sono state realizzate riprese al volto di Brad Pitt con la tecnica della Performance capture.

Le controfigure hanno recitato indossando un copricapo blu  per agevolare in fase di postproduzione la sostituzione del volto digitalizzato di Brad Pitt. Il personaggio di Benjamin Button mostra appunto il corpo degli attori e la testa della star di Hollywood realizzata in computer grafica attraverso la Performance capture. 
Le fasi intermedie della vita del protagonista sono state affidate al make up e alle sofisticate maschere di silicone applicate sia al volto di Brad Pitt che a quello di Cate Blanchett, invecchiata anch’ella di oltre 40 anni.

Dopo quest’opera Fincher si dedica a The Social Network (2010), film in cui non solo viene testato il nuovo sensore della Red One per la ripresa delle immagini ma addirittura il digitale diventa oggetto della diegesi. Il film è interamente incentrato sulle origini del social network Facebook. The Social Network è il segno di un cinema che cambia in un mondo che cambia ancor più velocemente.

David Andrew Leo Fincher (Denver, 28 agosto 1962) è un regista e produttore statunitense. Ha a ricevuto due Nomination come miglior regista agli Oscar e un premio come Miglior regista per The Social Network ai Golden Globe.

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Le tecniche di creazione e manipolazione dell’immagine frequenti e ampiamente diffuse sono anche il chroma key, lo slow-motion e il time-lapse.

Grazie alle tecniche e pratiche avanzate, come il chroma key 6 ad esempio, si dimezzano i costi di produzione. E’ possibile creare enormi scenografie virtuali, epiche battaglie con migliaia di comparse digitali animate attraverso software predisposti.

La tecnica dello slow-motion o rallenty che consente di rallentare il movimento rispetto alla velocità reale e si ottiene in fase di ripresa girando a una maggiore velocità. Un rallentamento fluido si ottiene con una ripresa con un alta frequenza dei fotogrammi (dai 50/60 fotogrammi al secondo in su). Un rallenty ancora più complesso è il bullet time, letteralmente tempo del proiettile, che consiste sempre nel rallentamento dell’azione ma con il movimento della macchina da presa a velocità normale. In altre parole, lo spettatore si a trova poter osservare la scena a rallenty mentre la macchina di presa si muove alla velocità normale. E’stato utilizzato la prima volta in una scena di Blade (1998) di Stephen Norringtoned ed è diventato famoso con Matrix (1999) di Lana e Lilly Wachowski in cui, per la realizzazione di questo effetto, è stato necessario l’impiego di un numero elevato di macchine fotografiche che hanno scattato simultaneamente, disposte secondo il movimento che deve avere la ripresa finale. Alcuni frames sono stati realizzati in digitale e aggiunti in post-produzione. Questa tecnica viene detta interpolazione e consiste nel creare fotogrammi digitali partendo da fotogrammi ottenuti fotograficamente.

Il time-lapse consiste nello scattare più immagini dello stesso soggetto ad intervalli regolari, servendosi di un dispositivo chiamato appunto intervallometro, spesso per un lungo periodo di tempo. Le immagini vengono poi montate insieme per creare un video in cui il tempo scorre molto velocemente.

Un’altra tecnica importante per la creazione dell’immagine digitale è correlata all’intelligenza artificiale. Nel 2001 per animare le schiere del Signore degli Anelli (The Lord of the Rings)  è stato sviluppato il software MASSiVE (Multiple Agent Simulation System in Virtual Environment), in grado di fornire una forma embrionale di intelligenza artificiale ad ogni singola figura, mostri di tutte le dimensioni sempre più realistici, duelli acrobatici sempre più spettacolari nonché suggestive scene d’azione che coinvolgono attori reali e creature digitali. Tutto questo ha condotto alla fine dell’epoca dei colossal in cui era strettamente necessario impiegare migliaia di comparse per simulare ad esempio epiche battaglie o feste nazionali. Ovviamente, il lavoro di coreografi, controfigure, truccatori, disegnatori ecc. resta comunque fondamentale. Non è un caso se alla realizzazione della trilogia de Il signore degli anelli abbiano lavorato circa mille persone. 

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Il 3D, la percezione della tridimensionalità

Fin dai primi cortometraggi dei Lumière si può parlare di cinema interessato a produrre un effetto di tridimensionalità. Tuttavia, le prime tracce di sperimentazioni tridimensionali sono antecedenti all’invenzione del cinematografo e sono state realizzate mediante l’espediente della stereoscopia7, ovvero quel particolare tipo di fruizione in grado di trasmettere una sensazione di tridimensionalità allo spettatore. L’evoluzione di questa tecnica, scoperta nel 1832 da Charles Wheatstone con lo stereofantascopio, ha accompagnato la storia del cinema 3D. Gli anni Cinquanta,  sono anni in cui il cinema si trova a dover competere con la televisione e cercare una serie di una serie di escamotage volti alla valorizzazione della valenza spettacolare del medium. In questi anni, il cinema 3D si rinnova introducendo la polarizzazione sfruttata attraverso degli occhiali. Il sistema sfrutta la luce polarizzata per proiettare sullo schermo due differenti fotogrammi, che la mente dello spettatore combina insieme creando l’illusione della profondità. Il 3D si afferma definitivamente con l’inizio del 21° secolo. La percezione della tridimensionalità viene riprodotta attraverso due dispositivi di ripresa sincronizzati i quali, posizionati in una certa angolazione, convergono verso il soggetto della ripresa. Vi sono due tipologie di sostegno dei dispositivi: il Side by Side rig che affianca i due dispositivi di ripresa e il Mirror Rig in cui le camere generano un angolo di 90° tra gli assi ottici. Il 3D ha segnato la nascita di una nuova dimensione dell’audiovisivo, un’immagine solida e immersiva. Il continuo sviluppo del 3D è la testimonianza di un immagine in movimento che vuole essere sempre più spettacolare e immersiva per lo spettatore.

L’animazione digitale in 3D, invece, nasce negli anni ottanta con i primi cortometraggi della Pixar Animation Studios che cercano di riprodurre in modo prospettico le immagini, conferendogli profondità mediante l’utilizzo della computer grafica.

La grafica 3D, è passata dal ricoprire un ruolo di nicchia negli anni sessanta e settanta, fino a diventare oggi la componente primaria di una consistente fetta del mercato globale dell’intrattenimento.

Il vertice del 3D accompagnato dalla Motion capture, è stato raggiunto con la realizzazione del film Avatar (2009) di James Cameron. In Avatar il digitale condiziona tutta l’opera e si ha una completa armonizzazione tra immagini fotonumeriche e immagini di sintesi. Il fulcro sul quale si è basato il 3D look è il Fusion Camera System, un apparato denominato originariamente Reality Camera sviluppato da Cameron e il direttore della fotografia Vince Pace, già precedentemente adottato in Ghost of the Abyss (2003) e Aliens of The Deep (2015), costituito dalla combinazione di due camere. Sono state affiancate a questo apparato otto camere Sony HDC-F950 modificate, più alcune Sony HDC-1500 e Sony F23 e la virtual camera, un dispositivo che permette di vedere in tempo reale immagini realizzate interamente con il computer integrate al profilmico. In Avatar il set diventa una sorta di laboratorio, luogo in cui convergono sia la produzione attraverso le CineAlta8 che la post-produzione delle immagini.

Gravity, capolavoro degli effetti speciali e visivi

Capolavoro degli effetti speciali e visivi del 2013 è il film Gravity del regista Alfonso Cuarón, prodotto dalla Warner Bros, che ha vinto gli Oscar per la regia, il montaggio, la fotografia, la colonna sonora, il montaggio sonoro, gli effetti sonori e gli effetti visivi. Il film è uno di quelli in cui la parte relativa agli effetti visivi, affidata alla società londinese Framestore, ha avuto un ruolo essenziale.

Alfonso Cuarón Orozco (Città del Messico, 28 novembre 1961) è un regista, sceneggiatore, produttore cinematografico, direttore della fotografia e montatore messicano. Ha già vinto ben quattro Oscar e tre Golden Globe.

Una produzione monumentale in cui ogni elemento, ad eccezione dei volti dei protagonisti George Clooney e Sandra Bullock, è completamente digitale. Più dell’80% del film, che comparato al 60% di Avatar fa comprendere l’entità del lavoro effettuato,  è composto da computer grafica. Gravity non è stato solamente realizzato e post-prodotto grazie alla grafica 3D ma è stato anche  costruito attraverso una meticolosa attività di pre-visualizzazione, ovvero una visione anticipata del risultato finale del girato, in fase di pre-produzione.

La critica ha universalmente espresso pareri particolarmente favorevoli riguardo al film che immerge lo spettatore nello spazio cosmico. “Non è solo il film più bello dell’anno, è una delle conquiste più suggestive della storia degli effetti speciali nel cinema”, ha scritto Tom Huddleston, critico cinematografico, sul magazine Time Out.

Gravity è una storia di Cuarón il cui padre, tra l’altro, è fisico nucleare, scritta con suo figlio Jonás, a cui ha lavorato per quattro anni (incluso un anno di post-produzione). Il suo progetto ha richiesto la creazione di videocamere realizzate ad hoc, di piattaforme flessibili in cui oscillassero gli attori, di ambienti generati dal computer per simulare l’assenza di gravità, di estrema e meticolosa cura dei dettagli.

Conclusioni

Il cinema e le arti elettroniche sono da sempre stati, per loro stessa natura, mezzi di comunicazione strettamente connessi alla tecnologia e alla tecnica. Il computer, il video, la realtà virtuale, la computer grafica e le tecnologie di rappresentazione, espandono il cinema (Expanded cinema) perché creano nuove forme di realizzazione, fruizione e distribuzione che sono al di fuori del cinema. Si aprono così nuovi orizzonti estetici, culturali, sociali, economici e teorici. Il legame che gli artisti hanno con lo sviluppo tecnologico è indissolubile e l’apporto che i nuovi strumenti possono dare alla creatività è straordinario. Le immagini in movimento ci avvolgeranno sempre di più e in modi differenti, saranno di ogni genere e durata, verranno proiettate su schermi di diverse forme e dimensioni e saranno disponibili in qualsiasi formato.
Le prossime innovazioni riguarderanno l’immersività e la partecipazione attiva dello spettatore. Le nuove fruizioni mediatiche lo vedranno sempre più coinvolto. I media del futuro introdurranno lo spettatore all’interno di essi facendolo sentire parte e protagonista degli stessi. I termini spettatore e utente diverranno restrittivi e superati e dovrà essere coniato un nuovo termine del fruitore dei media, che ne acquisirà le potenzialità, utilizzandole per modificare anche i contenuti secondo i propri gusti e preferenze.

Questo futuro è già passato, ma ormai ne siamo profondamente consapevoli.

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Fonti e Approfondimenti

  • CHRISTIAN UVA, Cinema digitale. Teorie e pratiche, Le lettere Università, 2014. Acquista su Amazon
  • CHRISTIAN UVA, Impronte digitali: il cinema e le sue immagini tra regime fotografico e tecnologia numerica,  Bulzoni, 2009. Acquista su Amazon
  • A. R. GALLOWAY, Gaming. Essays on Algorithmic Culture, University of Minnesota Press, Minneapolis-London, 2006. Acquista su Amazon
  • LAURENT JULLIER, Il cinema postmoderno, Kaplan, 2017. Acquista su Amazon
  • ENRICO MENDUNI, Entertainment, Il Mulino, 2013. Acquista su Amazon
  • ANDREW WILLIAMS, History of Digital Games: Developments in Art, Design and Interaction, CRC Press, 2017. Acquista su Amazon
  • GENE YOUNGBLOOD, Expanded cinema, Gene Youngblood, Clueb, 2013. Acquista su Amazon
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Riferimenti:

  1. “Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare.” Cfr (Sigmund Freud, Il perturbante, 1919).
  2. La Lucas Film e la Industrial Light & Magic sono state acquisite dalla Walt Disney nel 2012.
  3. Il concetto risale ad un articolo del noto ricercatore grafico Lance Williams del 1978 intitolato Casting curved shadows on curved surfaces (gettare ombre curve su superfici curve).
  4. “Tutti i videogiochi si fondano su grandi capacità di calcolo, computergrafica sempre più accurata ed elevata capacità di generare eventi casuali (random).” ENRICO MENDUNI, Entertainment, 2013, Il Mulino, pag 96.
  5. ANDREW WILLIAMS, History of Digital Games: Developments in Art, Design and Interaction, CRC Press, 2017.
  6. Letteralmente “chiave del colore”. Generalmente conosciuta come Green Screen, si tratta di una tecnica di ripresa, che consente di sovrapporre un’immagine ad uno sfondo dal colore predeterminato (non solo verde ma anche rosso o blu) che funge da sorgente video autonoma.
  7. Le prime esperienze stereoscopiche sono del 1838, anno in cui Charles Wheatstone , fisico e inventore britannico, presenta alla Royal Society un dispositivo di visione stereoscopica  che si basa su lenti e prismi, che tuttavia non riscontrerà un grosso successo perché troppo complesso ed ingombrante.
  8. La serie di macchine da presa professionali digitali ad alta definizione della Sony.
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Mattia Rinaldi

Giovane intraprendente fotografo e videomaker con esperienza cinematografica, fotografica, televisiva e musicale. E' Dottore Magistrale in Cinema, Televisione e Produzione multimediale. Opera a Roma dal 2012 e collabora con molti artisti, case di produzione, agenzie fotografiche e associazioni culturali.

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