La visione di un film, specialmente al cinema o in condizioni simili (schermo di grandi dimensioni, impianto audio, luci spente e poltrona o divano confortevoli), produce numerosi effetti sulla mente e sul corpo dello spettatore. I metodi di studio e le prospettive teoriche psicoanalitiche e cognitiviste permettono di comprendere e analizzare gli effetti della fruizione filmica sullo spettatore.
Cinema e psicoanalisi, la teoria psicoanalitica
La teoria psicoanalitica del cinema si sviluppa in Francia a partire dagli anni 60 e indaga il dispositivo cinematografico. Anticipata parzialmente dalla filmologia1, ed elaborata poi, principalmente, nelle riflessioni di Jean-Louis Baudry, di Raymond Bellour e di Christian Metz, arrivò a mettere in evidenza la riattivazione, nel rapporto tra schermo e spettatore, di meccanismi inconsci messi in luce dalla psicoanalisi2.
Alla base di tutte le concezioni di stampo psicoanalitico vi è l’idea che nel cinema il corpo regredisca a uno stadio precedente: nell’oscurità della sala il riferimento con la realtà va perduto. Attraverso l’esperienza cinematografica si riattivano dei processi simili a quelli dell’infanzia. Inoltre, il film replica le condizioni del sogno ed utilizza le stesse procedure. Cinema e psicoanalisi hanno molto in comune. Persino l’anno di nascita, 1895 (prima proiezione cinematografica pubblica al Grand Café del Boulevard des Capucines di Parigi grazie ai fratelli Auguste Marie Louis Nicolas Lumière e Louis Jean Lumière, inventori del cinematografo, primo proiettore cinematografico; prima interpretazione di un sogno scritta da Freud, un suo sogno della notte tra il 23 e il 24 luglio 1895).
Le teorie filmiche di stampo psicoanalitico trattano il rapporto tra spettatore e telo come se fosse basato su un’illusione percettiva, come se gli spettatori credessero che gli oggetti che si muovono sul telo esistano davvero.

Baudry, la regressione
Baudry distingue l’apparato di base (appareil de base), che concerne l’insieme degli strumenti tecnici e delle operazioni necessarie alla produzione e alla proiezione di un film (pellicola, macchina da presa, sviluppo, montaggio, proiettore ecc.), intesi nel loro aspetto tecnico, dal dispositivo (dispositif) vero e proprio, che concerne unicamente gli effetti che le condizioni di proiezione del film hanno sul soggetto-spettatore.
Al centro della visione di Baudry vi è l’idea che il dispositivo cinematografico determini artificialmente uno stato di regressione. Per spiegare la situazione dello spettatore al cinema Baudry si riallaccia alla metafora platonica della caverna. Baudry applica la situazione dei prigionieri della caverna alla situazione degli spettatori seduti al cinema. La loro paralisi motoria e l’impossibilità di lasciare il posto in cui si trovano li porta a scambiare la realtà con il feticcio. Le speciali condizione della proiezione e la natura avvolgente della narrazione filmica trasportano lo spettatore in uno stato di trance dove egli riesce a malapena a distinguere il film dalla propria stessa condizione. La teoria dell’apparato delinea una visione “tragica” del cinema perché il film si fonda su effetto di illusione.
Bellour, l’analogia con l’apparato psichico
Bellour fonde i principi dello strutturalismo di Levi-Strauss e Roland Barthes, che considerano l’opera artistica come un insieme organico scomponibile in elementi e unità, con la semiologia, disciplina che studia i segni, di Christian Metz e la psicoanalisi di Jacques Lacan, allo scopo di scovare le strutture soggiacenti del film classico. Individua dei dispositivi di base nel film classico: l’alternanza, la ripetizione esemplificati dal campo/controcampo a cui va aggiunta la variazione, come nel caso della tipica sequenza classica in cui il campo controcampo è interrotto da un piano totale che funge da elemento di rottura. Le analisi dei frammenti di Gli Uccelli (The Birds) di Alfred Hitchcock e Il grande sonno (The Big Sleep) di Howard Hawks, condotte attraverso la segmentazione della scena nei singoli piani, la ricerca dei codici pertinenti, l’articolazione dei rapporti di alternanza, ripetizione e variazione, rivelano che nel cinema classico le strutture significanti, le modalità di combinazione e significazione degli elementi sono fisse, mentre variano gli elementi che entrano in gioco ovvero i codici pertinenti e l’immaginario del film. Queste due analisi mostrano che il cinema classico è un dispositivo che ha tradotto in termini tecnico-formali la condizione psichica e sociale della differenza sessuale dove il maschile occupa la posizione di soggetto e il femminile quella di oggetto. Bellour mira a dimostrare che le strutture filmiche presentano un’analogia profonda con quelle del nostro apparato psichico, in particolare con le dinamiche dell’Edipo.
Approfondimento: analisi di una sequenza de Gli Uccelli (Hitchcock, 1963) di R. Bellour

L’analisi della sequenza de Gli Uccelli attraverso la minuziosa scomposizione in fotogrammi e con l’ausilio di mappe e schemi grafici, si propone di dimostrare come il senso nasca dalla successione del racconto per immagini attraverso il doppio vincolo della ripetizione e della variazione gerarchizzate secondo la progressione logica della simmetria e della dissimmetria. La sequenza è quasi del tutto priva di musica e parole e ciò fa riflettere le alte virtù stilistiche e rappresentative del cinema muto. Gli unici suoni sono il rumore del motore della barca e il verso degli uccelli. La sequenza è costituita da un numero elevato di inquadrature di breve durata. Dura in tutto sei minuti e 15 secondi. L’intera sequenza viene frammentata in segmenti riunendo un numero più o meno grande di inquadrature. Sono definite gruppo o serie. La maggior parte delle serie si riuniscono in due insiemi detti A e B. Le serie iniziali e finali sono semplicemente designate con le parole: partenza e arrivo. La scena comincia nel momento in cui Melanie Daniels arriva al molo di Bodega Bay per portare di nascosto gli uccelli nella casa di Mitch Brenner. La sequenza è costruita intorno ad un movimento simmetrico di andata e ritorno. L’andata mette in scena un personaggio, Melanie, mentre il ritorno due personaggi, Melanie e Mitch. L’avvicinamento in barca obbedisce ad un’alternanza fisso/fisso mentre l’avvicinamento a piedi a una alternanza movimento/movimento. Le inquadrature in interni, rompono questo principio di alternanza.
Melanie da guardante diventa guardata non da un personaggio ma dalla macchina da presa e da chi la dirige. Il principio di alternanza viene ristabilito con le inquadrature in cui Melanie guarda il granaio dalla finestra. Il ritorno di Melanie non è uguale all’andata. Il racconto ordinato finora dalla visione di un personaggio si sdoppia per rispondere alla visione duale. Il centro si sposta e diventa, a partire dal momento che Mitch vede Melanie, le quattro inquadrature 57-60 dove i due si guardano guardarsi. Il centro A è il momento del dono mentre il centro B è l’incontro degli sguardi in cui si verifica il raddoppiamento narcisistico fatto di rispecchiamento e diversità incarnato nel campo/controcampo attraverso lo sguardo reciproco tra i due personaggi. I piani ravvicinati e i piani americani sono le inquadrature che definiscono Melanie per tutta la scena nel gioco alternato degli sguardi. L’incontro degli sguardi introduce gli uccelli selvatici. Nel ritorno al molo di Melanie il movimento della barca e il movimento dell’auto stabiliscono la simmetria tra i due personaggi. Nell’inquadratura 78 il gabbiano colpisce Melanie alla testa. Si conferma una corrispondenza tra Mitch e il gabbiano, o meglio, tra lo sguardo di Mitch e il gabbiano. Il gabbiano che colpisce è una metafora, una sostituzione della figura maschile. L’inquadratura 84, l’ultima, assicura l’incontro e riunisce Mitch e Melanie nella stessa inquadratura per la prima volta dall’inizio della scena.
Metz, cinema e specchio
Il pensiero di Metz si può suddividere in due fasi: una prima di orientamento strutturalista in cui si interroga sulle analogie fra linguaggio umano e cinema e una successiva fase psicoanalitica-poststrutturalista il cui caposaldo è rappresentato da Cinema e Psicoanalisi, il significante immaginario dove analizza quegli elementi che rendono simili cinema e specchio, ossia la ricchezza percettiva (pienezza di dettagli e analogia con il mondo rappresentato con quello reale) e la grande irrealtà dell’immagine. Metz sposta l’attenzione dal film come testo e racconto al film come supporto immaginario del soggetto impersonato e al cinema come macchina mentale (apparato) che permette allo spettatore di percepirsi come onnipresente. La differenza significativa rispetto allo specchio è che nel film una sola cosa non si riflette mai: il corpo dello spettatore. Il riconoscimento dello spettatore che guarda un film è sempre un misconoscere, un travisare. Nel cinema l’identificazione poggia su una relazione simile a quella del riconoscimento di sé nella prima infanzia. Decisiva e fondamentale per la forma di misconoscimento tipica del cinema è la teoria dello specchio3 di Jacques Lacan.
Altri studi psicoanalitici
Piacere Visivo e Cinema Narrativo (Visual Pleasure and Narrative Cinema) di Laura Mulvey pubblicato su Screen, rivista tra le più autorevoli nel campo degli studi sul cinema e sulla televisione, nel 1975, a trent’anni dalla sua pubblicazione, costituisce l’intervento più importante della Feminist film theory, la teoria e critica cinematografica femminista. Mulvey propone una teoria psicoanalitica non solo del film classico ma anche dell’apparato cinematografico e dell’esperienza spettatoriale. Il suo saggio si rivela un modello di interpretazione del film centrato sulle dinamiche di sguardo, desiderio e identificazione. Il suo presupposto principale è che il cinema si strutturi attraverso un sistema di sguardi. Mulvey distingue tre forme dello sguardo che entrano in gioco in ogni esperienza cinematografica: lo sguardo della cinepresa sull’azione, lo sguardo dello spettatore sullo schermo e infine lo sguardo reciproco dei personaggi nella diegesi filmica. Nel sistema hollywoodiano questi sguardi sottostanno ad un ordinamento gerarchico in quanto i primi due, cioè lo sguardo della cinepresa e lo sguardo dello spettatore sono subordinati all’ultimo, lo sguardo dei personaggi. Il cinema offre dei possibili piaceri legati allo sguardo. Vi sono circostanze in cui il guardare stesso è una fonte di piacere, la scopofilia, cosi come vi è un piacere nell’essere guardati. Il cinema soddisfa appunto questo desiderio primordiale di guardare con piacere. Inoltre le particolari condizioni della proiezione contribuiscono a favorire l’illusione di gettare lo sguardo su un mondo privato e quindi soddisfa il piacere del voyeurismo. L’altra fonte di piacere consiste in una sorta di regressione a uno stadio precedente di sviluppo ossia allo stadio dello specchio. Il riconoscimento del bambino di sé stesso è apportatore di gioia in quanto egli immagina che la sua immagine sia più completa rispetto all’esperienza che ha del proprio corpo. Questa esperienza significa per il bambino il suo ingresso nell’ordinamento simbolico, ossia nelle strutture sociali. Mulvey sostiene che in un mondo ordinato dalla disparità sessuale, il piacere del guardare è stato scisso in attivo/maschile e passivo/femminile. La gerarchia degli sguardi è dunque un attributo di genere. L’uomo guarda e la donna è guardata. La funzione della donna è puramente erotica e si esaurisce nel sostenere il desiderio maschile, motore dell’azione narrativa. La presenza della donna rimanda sempre ad una mancanza, mettendo in gioco a livello simbolico la figura psicoanalitica della minaccia di castrazione. Le possibilità per difendersi da questo pericolo sono il feticismo e il sadismo: la donna viene confinata nell’immaginario come feticcio e viene punita all’interno dell’azione e quasi espulsa dall’ordinamento simbolico. Di norma il cinema classico presuppone anche uno spettatore maschio e poiché lo spettatore si identifica con il personaggio maschile, proietta il suo sguardo su quello del suo simile, del suo sostituto sullo schermo. In questo modo il potere del protagonista maschile nel controllare gli eventi coincide con il potere attivo dello sguardo erotico. La differenza di gender è iscritta non solo nella rappresentazione filmica ma anche nell’esperienza cinematografica. Il cinema classico secondo Mulvey è costruito per il solo piacere dello spettatore maschile. Poiché è il personaggio maschile a dominare la scena con l’azione e lo sguardo, solo l’uomo in sala potrà identificarsi con l’eroe.
Tania Modlesky ribalta le conclusioni cui era pervenuta Mulvey e sostiene che il cinema del Maestro della suspance, Alfred Hitchcock, è segnato da dinamiche di desiderio ambigue. Il suo cinema attiva identificazioni e posizionalità mutevoli: lo spettatore maschile, per esempio può identificarsi fortemente con il femminile. In effetti lo spettatore assume di frequente identificazioni femminili, passive e masochiste come nel caso di Jeff in La finestra sul cortile (Rear Window).
Gaylyn Studlar afferma che i film di Josef von Sternberg con Marlene Dietrich mostrano tutti i tratti dell’estetica masochista: in luogo della causalità e linearità classiche presentano plot ripetitivi e circolari che mettono in scena la sospensione del desiderio. Tuttavia, per quanto riguarda la donna, Marlene non è l’oggetto passivo, ma una figura che è sia oggetto che soggetto dello sguardo.
Cognitivismo, le risposte alternative
Il cognitivismo, chiave di lettura degli effetti del film e branca della psicologia più recente, cerca delle risposte alternative precise a domande sollevate dalla semiotica e dalla teoria psicoanalitica sulla ricezione del film. Il cognitivismo è stato il filo conduttore dell’opera di David Bordwell. In Narration in the Fiction Film (Madison: University of Winsconsin Press, 1985) di Bordwell, il cognitivismo non viene considerato come una teoria ma come una metodologia che cerca di comprendere il pensiero umano, l’emozione e l’azione appellandosi al processo di rappresentazione mentale. Si sostiene un’alternativa cognitiva alla semiotica per spiegare come fanno gli spettatori a dare un senso al film. Per Bordwell la narrazione è il processo in cui i film forniscono gli indizi agli spettatori e questi usano gli schemi interpretativi per costruire storie ordinate ed intellegibili dalle loro menti. Dal punto di vista della ricezione gli spettatori elaborano le loro ipotesi sulle immagini e i suoni che sono sullo schermo. Dal punto di vista del film, questo funziona su due livelli: la forma in cui gli eventi vengono raccontati e la fabula, ovvero la storia ideale che lo spettatore ricostruisce sulle basi degli indizi del film.
I cognitivisti, attraverso un metodo interdisciplinare (principalmente psicologico, antropologico, filosofico, linguistico), insistono sui sistemi psicologici e cognitivi che Bordwell chiama gli universali contingenti. Schemi base o meccanismi umani legati alla contingenza, che non variano a seconda della storia narrata o anche al soggetto e alla sua collocazione sociale. I cognitivisti non negano completamente l’utilità della psicoanalisi ma la ritengono limitata agli aspetti irrazionali ed emotivi del film.
Il cognitivismo è una compagine molto eterogenea al suo interno ma tutti condividono lo stesso presupposto, ovvero che i processi della visione di un film sono tentativi dello spettatore motivati razionalmente di dare un senso narrativo a ciò che si sta vedendo. I cognitivisti mettono in discussione l’idea secondo cui al cinema abbiamo a che fare o con illusione/simulazione o con straniamento/reificazione. Essi sostengono che percepire, riconoscere, comprendere oggetti, persone o luoghi nell’immagine in movimento non richieda né un’illusione né una sospensione dell’incredulità. rifiuta alcuni principi della teoria del film.
Il metodo di studio cognitivista rifiuta sia la base assiomatica della linguistica secondo cui il film è un’entità simile al linguaggio che può essere compresa mediante un approccio linguistico-semiologico sia l’astrazione che fonda la teoria psicoanalitica, l’inconscio, a favore delle attività consce e pre-consce.

Conclusioni
Se da un lato la psicoanalisi considera il coinvolgimento spettatoriale alla luce dei processi psicoanalitici come l’identificazione, la proiezione, il narcisismo e il voyeurismo, collocabili nel punto di incontro tra sguardo e desiderio propri del regime scopico, dall’altro l’analisi cognitivista (la Post-Theory) che ha molto a che fare con la razionalità e le emozioni e la più recente neurofilmologia che va ad affrontare questioni scientifiche molto complesse, come ad esempio quella legata ai neuroni specchio e ai rispecchiamenti di tipo corporeo e motorio, descrive la partecipazione dello spettatore cinematografico in termini di risposta emotiva alle immagini del film. Gli studi sugli effetti della fruizione filmica sullo spettatore sono in costante evoluzione e nessuna metodologia è superiore all’altra. Avere più opzioni e più chiavi di lettura per comprendere qualsiasi argomento e avere un quadro sempre più completo e approfondito è sicuramente meglio che averne una sola.

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Fonti e approfondimenti
- Teoria del film. Un’introduzione (Piccola Biblioteca Einaudi, 2009) di Thomas Elsaesser e Malte Hagener – Acquista su Amazon
- Laura Mulvey, Visual Pleasure and Narrative Cinema (1975) di Carolina Hein – Acquista su Amazon
- Narration in the Fiction Film (Madison: University of Winsconsin Press, 1985) di David Bordwell – Acquista su Amazon
- Dal classico al postmoderno al global: Teoria e analisi delle forme filmiche (2019) di Veronica Pravadelli – Acquista su Amazon
- La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico americano (2007) di Veronica Pravadelli – Acquista su Amazon
- L’analisi del film (Kaplan, 2005) di Raymond Bellour – Acquista su Amazon
- Introduzione alla psicoanalisi (Bollati Boringhieri, 2012) di Sigmund Freud – Acquista su Amazon
- treccani.it
Riferimenti:
- Filmologia: disciplina accademica che si sviluppa tra gli anni 40 e 50, dedicata allo studio della settima arte. Mette insieme la ricerca sulle teorie del cinema, la storia del cinema e l’approccio ai film da parte dello spettatore attraverso l’ausilio di diversi ambiti di studio.
- La psicoanalisi è la teoria dei processi psichici che ha preso l’avvio dal lavoro di Sigmund Freud (Freiberg, 6 maggio 1856 – Hampstead, 23 settembre 1939); un procedimento per l’indagine dei processi psichici ai quali altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere; un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici; una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina.
- La teoria dello specchio di Lacan: la presa di coscienza da parte del bambino, tra i sei e i diciotto mesi, di fronte alla propria immagine riflessa nello specchio che ciò che vede nello specchio non è un altro individuo ma sé stesso, rappresenta un momento fondamentale della formazione e dello sviluppo della sua psiche e la base di tutte le altre identificazioni che l’individuo ha nel corso della vita.