Perfezionista ed esigente, David Fincher è sicuramente uno dei più talentuosi registi dei nostri giorni.
“People will say, ‘There are a million ways to shoot a scene,’ but I don’t think so. I think there are two, maybe. And the other one is wrong.”
Analizzando i suoi film, molti dei quali, se non tutti, sono ormai divenuti dei cult, riusciamo a distinguere uno stile ben preciso. Proviamo in quest’articolo ad evidenziarne alcuni aspetti.
Fare film alla Fincher – le tecniche registiche
Nel video seguente vi è un dettagliato montaggio delle 6 tecniche principali di ripresa che Fincher regolarmente impiega nei suoi lavori. Queste tecniche non sono, ovviamente, esclusiva del regista americano, ma l’utilizzo che ne fa dimostra quanto esse possano risultare efficaci non solo nell’impatto visivo, ma anzi, soprattutto, per lo sviluppo della trama e per la caratterizzazione dei personaggi.
Le sei tecniche sono:
- Follow Shot (frontale/posteriore): la camera segue i protagonisti, tipico nell’utilizzo della steadycam;
- Dolly Tracking, un follow shot utilizzando un carrello dolly;
- Slow zooms, un lento zoom dal basso che conferisce al personaggio un senso di potenza;
- Slow Motion, per enfatizzare scene particolarmente dinamiche.
- Tracking shot, in italiano, carrellata;
- Top down perspective, detta anche aereal view o God view
Entra molto più nel dettaglio il filmmaker Tony Zhou, fondatore di Every Frame a Painting una serie di video nei quali vengono analizzate le diverse maniere di fare cinema. Zhou con il suo video “David Fincher – And the other way is wrong”, rende omaggio allo stile di Fincher, sottolineandone alcune peculiarità come ad esempio: la fedeltà all’uso del treppiede; uso di CGI (gli effetti speciali creati al computer); l’uso parsimonioso dei close-up (primo piano), utilizzati esclusivamente per sottolineare un particolare della scena o una frase in un dialogo; i movimenti di macchina sempre studiati e con un motivo ben preciso, ecc. Nulla è lasciato al caso, tutto è pensato per creare drammaticità o tensione alla scena.
E’ particolarmente interessante, l’analisi del dialogo (a 4’05” del video seguente), tra i detectives Somerset (Morgan Freeman), Mills (Brad Pitt) e il loro capo, dal film Seven, in cui Zhou fa notare come le inquadrature sono studiate on modo tale da rendere al meglio le relazioni tra i personaggi e creare drammaticità.
Illuminare l’oscurità
In un interessante articolo, “David Fincher: Into the Darkness”, il film editor Vashi Nedomansky, in uno studio comparativo realizzato per un suo recente progetto, analizza il cupo stile visuale di Fincher, quello che egli denomina “Dark Clarity”.
“Dark in content, dark in tone and especially dark in visual aesthetics.”
L’oscurità adombra sempre i protagonisti dei film di Fincher, persino sotto la luce del sole. Ciò ne evidenzia chiaramente i lati oscuri. Si differenzia inoltre da quello che è ormai divenuta la tendenza tra i blockbusters degli ultimi 10 anni, ovvero un alto contrasto e uno spettro di colori tendente al blu/teal (foglia di tè).

La scena iniziale di The Social Network, ambientata in un bar presenta una color correction ormai tipica nei film di Fincher. E’ scura, ma se si osserva bene non c’è il nero assoluto. I dettagli nelle tinte scure sono ben visibili, al tempo stesso i punti di luce sono ridotti e colorati. La luce non è perfettamente bianca, e ciò modifica l’intera immagine. L’arancione è infuso sia nelle scene diurne che in quelle notturne. In genere il blu è il colore prevalente per indicare la notte. Non è così in The Social Network.
Millenium – Uomini che odiano le donne mostra una continuazione della palette di The Social Network. Nell’ambientazione invernale con una debole luce solare come in una notte senza fine, Fincher comprime il bianco e mantiene pulito e leggibile il nero. E persino di notte lo spettatore non perde nessun dettaglio di ciò che accade nella scena, dagli interni negli uffici vetrati alle escursioni notturne sulla neve, tutto è pulito e chiaramente visibile, anche quando i livelli di luce sono molto bassi. Inoltre, le tinte di arancione e di blu si mescolano all’intera palette di colori mantenendo un look iperrealistico.
L’aspetto omogeneo di molti dei suoi film è garantito anche, anzi, soprattutto, grazie alla collaborazione con Jeff Cronenweth, direttore della fotografia sin da Fight Club. In Fight Club e Uomini che odiano le donne molte scene sono ugualmente oscure, e allo stesso tempo contengono molte delle tonalità di verde e giallo. Il giallo, in particolare, normalmente un colore vivace, in entrambi i film risulta grigiastro e nauseante denotando un luogo inquietante.

L’immagine qui sopra, realizzata grazie all’ottimo lavoro della grafica Roxy Radulescu, mostra come i due film sopra citati condividono una buona parte delle tonalità di colore.
Nel cinema spesso i colori sono utilizzati per enfatizzare le emozioni e l’umore di un personaggio. C’è una scena in Uomini che odiano le donne in cui Henrik (Christopher Plummer) racconta a Mikael (Daniel Craig) la storia del giorno della scomparsa di Harriet. Comparando i toni delle scene del presente e del racconto, notiamo come entrambe contengano tonalità di giallo. Tuttavia quelle del presente sono fredde, quelle del passato più calde. E’ così che Henrick ci trasmette il suo ricordo dei “vecchi bei tempi”, molto più caldi, felici e luminosi rispetto al presente freddo e vuoto. Più è piacevole l’emozione di Henrik, più calda e luminosa diventa la scena.

Ma torniamo a ciò che è più congeniale al regista americano, l’oscurità. Un livello ancora più avanti in questo senso è raggiunto in House of Cards, serie tv prodotta da Fincher di cui cura la regia dei primi due episodi. Le scene spesso si svolgono in un’estrema oscurità, la luce solare è bianca ma attenuata e desaturata, non si ha quasi mai l’impressione che la scena è rappresentata in pieno giorno. Toni medi e nero si mescolano tra di loro arrivando al punto che spesso molte scene sembrano in bianco e nero. Nelle scene notturne l’informazione contenuta nell’immagine è ridotta, quasi a sottolineare i torbidi intrighi della politica di Washington, e quel poco che lo spettatore riesce a vedere è sufficiente.
Nel suo ultimo film, Gone Girl, Fincher continua e sviluppa il tema dell’oscurità lavorando sulle ombre, apponendole come un velo sui personaggi. Per rendere al meglio nel suo intento si serve delle ultime tecnologie (Gone Girl è il primo film realizzato in 6K con una RED Dragon e montato con Adobe Premere CC) ridefinendo il limite di ciò che rappresenta il minimo necessario a raccontare una storia. Anche qui in fase di post produzione/color grading, i midtones e gli highlights sono stati abbassati riducendo la luminosità totale, evitando tuttavia di spappolare i neri, facendo in modo che i dettagli all’interno delle ombre rimangano ben visibili. Ecco realizzata quella che Nedomansky chiama “Dark Clarity“.
Approfondimenti e sitografia
- Art of the Tiltle – David Fincher: A Film Title Retrospective
- A Filmmaking Masterclass From David Fincher
- Youtube – Color Grading The Social Network
- Un articolo sullo studio dell’uso dei colori.
- Vashi Visuals – David Fincher: Into The Darkness
- Mytherapy – Se7en by colourist Stephen Nakamura